I fattori ESG, Environmental, Social and Governance, sono gli indici del c.d. rating di sostenibilità, che valuta l’impatto di un’impresa o di un ente dal punto di vista ambientale, sociale e di governance. Questi criteri prendono in considerazione la solidità di un’azienda, non solo in relazione al suo profitto, ma anche alla sua impronta sociale, con importanti ripercussioni sul lato finanziario e sul coinvolgimento ed interesse degli investitori.
Brevemente, il fattore “Environmental” si riferisce a numerosi parametri ambientali, come la carbon footprint aziendale o l’utilizzo delle risorse naturali. Quello “Social” valuta l’impatto sociale, in un’ottica human rights based, ricomprendendo aspetti quali le condizioni di lavoro, oppure l’effettiva presenza dei valori di diversità ed inclusione, ma anche monitorando l’impatto sulla comunità locale e sul territorio in cui l’impresa opera. Con “Governance”, invece, si intende il criterio che esamina i meccanismi di prevenzione dei rischi, il bilanciamento e la separazione dei poteri, il contrasto alla corruzione e la giusta ed equa retribuzione dei dipendenti.
Il rating basato sugli ESG viene strutturato sulla base dei dati ricavati dai documenti aziendali; da quelli rilasciati da Enti Pubblici e dai report provenienti dai sindacati e delle ONG.
Tra i documenti analizzati per tracciare l’impatto sostenibile dell’azienda è essenziale quella parte di rendicontazione che prescinde dal mero aspetto economico, di cui fanno parte la Dichiarazione Non Finanziaria e il Bilancio di Sostenibilità. Il quadro di rendicontazione non finanziaria è, però, oggetto di cambiamento e armonizzazione ad opera della nuova Corporate Social Responsability Directive, presentata dalla Commissione Europea lo scorso Aprile, che verrà adottata proprio nel mese di Ottobre 2022.
Innanzitutto, il primo mutamento parte dalle denominazione. Infatti, questo tipo di rendicontazione prenderà il nome “reporting (o bilancio) di sostenibilità”, mentre scompare la locuzione “non finanziaria” riferita alla rendicontazione. Si tratta di un documento di rendicontazione, che mantiene comunque la natura non finanziaria, che monitora, riporta e comunica in modo obiettivo e trasparente gli impegni e i risultati economici, sociali e ambientali dell’impresa. Originariamente, erano tenuti all’obbligo i soggetti di interesse pubblico con più di 500 dipendenti e con almeno o un attivo di stato patrimoniale superiore a 20 milioni euro oppure ricavi netti oltre la soglia dei 40 milioni euro.
La nuova direttiva, invece, estende l’obbligo di rendicontazione del Bilancio di sostenibilità dalle grandi imprese, anche alle PMI che superano i 250 dipendenti o i 40 milioni di fatturato, alle banche e alle assicurazioni e a tutte le società quotate.
Anche le PMI rientrano così in questo quadro, ma se per le categorie sopraindicate l’obbligo scatterebbe a partire dal 2024, per queste si parla di 2026. Inoltre, un’altra novità che riguarda le PMI è data dall’introduzione del principio di proporzionalità, che prevede degli standard di reportistica semplificati e ad hoc.
Attualmente, il report può seguire diversi standard, anche se quelli più utilizzati sono i GRI Standards, creati dal Global Reporting Initiative, ente internazionale e senza scopo di lucro nato appositamente per redigere tali criteri. Saranno a breve invece sostituiti dai nuovi parametri, creati dall’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), che è l’organo di consulenza della Commissione Europea. Si tratterà di due tipologie differenti, gli standard generici (“sector agnostic”) e quelli settoriali (“sector specific”), ma entrambe seguiranno una prospettiva multi-stakeholder.
Per quanto riguarda il contenuto del bilancio di sostenibilità, viene redatto secondo alcuni principi fondamentali, che ritroviamo anche nella nuova direttiva. Tra questi, il principale è quello della “doppia materialità”, che prevede l’obbligo di inserire nel report tutti gli elementi che sono importanti sia per l’aspetto economico-finanziario (financial materiality) ma anche per quello socio-ambientale di riferimento, con riguardo ai fattori ESG (impact materiality). Il quadro tracciato sino ad adesso risulta più chiaro e netto rispetto a quello precedente, proprio alla luce della nuova sensibilità che gli stakeholder e la società civile hanno sviluppato rispetto alle tematiche ESG.
Tuttavia, guardando oltre al dato normativo, è evidente come il report di sostenibilità offra alle aziende anche degli importanti vantaggi dal punto di vista strategico. Permette, ad esempio, di migliorare la strategia di gestione; comprendere meglio i rischi e le opportunità dell’attività aziendale; evidenziare una connessione più chiara tra il rendimento finanziario e non; semplificare i processi e aumentarne l’efficienza, verificare la compliance alle norme in tema ambientale o lavoristico in maniera più agevole.
Oltre a questi benefici, che si può dire abbiano più una dimensione “interna”, ci sono anche altri lati positivi proiettati verso l’esterno. Infatti, il bilancio di sostenibilità rende possibile mitigare gli impatti negativi in riferimento agli ESG; migliora e consolida la reputazione positiva dell’azienda e avvicina gli stakeholder alla purpose aziendale, estrinsecandola con trasparenza e puntualità.
Questa nuova veste del report di sostenibilità, lo rende, quindi, uno strumento ancora più efficace e vicino alle necessità dell’azienda e della comunità. Soprattutto, chiarisce l’interconnessione tra queste due realtà e la poca longevità dei modelli di business che guardano solo alla massimizzazione dei profitti nel senso stretto del termine.